http://caderno.josesaramago.org/2009/07/21/lua/
http://quadernodisaramago.wordpress.com/2009/07/21/luna/
Alcuni scettici ritengono che l'uomo non sia mai arrivato sulla luna. Le loro idee sono state definite cospirazioniste, ma in fondo oggi una simile falsificazione da parte di un governo non appare più tanto "cospiratoria": coprire la verità è semmai diventata una routine quotidiana, ormai praticata con consumata maestria su molteplici fronti.
Comunque sia andata, e per quanto oggi importi, nel 1969 gli americani non solo avevano una forte motivazione a cercare un successo planetario, ma sicuramente anche un disperato bisogno. La loro tecnologia spaziale era molto meno sviluppata di quella russa, le loro probabilità di far giungere un uomo sulla luna e di farlo tornare indietro erano stimate a meno dell'1%, ogni settimana portava dal Vietnam 300 cadaveri americani, nuovi movimenti ideologici squassavano il paese, il credibility gap si allargava e gli elettori volevano che Kennedy mantenesse la famosa promessa fatta nel 1961 di fronte al Congresso ("to achieving the goal, before this decade is out, of landing a man on the Moon and returning him safely to the Earth").
Forse oggi non è più così importante sapere se Neil Armstrong abbia messo piede sulla luna o in uno studio cinematografico, ma è interessante guardare indietro ad alcuni dettagli nella comunicazione dell'evento; ne emerge un immaginario che fa quasi tenerezza nel proporre e propagandare l'operazione Apollo 11: dall'aquila come simbolo della missione al conseguente titolo sul Washington Post ("The eagle has landed"), dall'idea di portarsi dietro (e fotografare) la bandiera americana, alla celebre frase di Armstrong ("That's one small step for a man, one giant leap for mankind"), dalla foto dell'impronta umana sul suolo, fino ai presunti problemi di carburante e ossigeno che tennero col fiato sospeso il pubblico (mentre si passava dal pilota automatico al comando manuale, ormai una ricorrenza letteraria tanto inflazionata da apparire risibile in fantascienza). Con questi, altri mille dettagli spaziano dal grottesco al curioso, dalla propaganda patriottica al tecnicismo puerile, e portano con se' la nostalgia per il candore di un grande pubblico americano che - pur critico inflessibile della guerra e delle convenzioni conservatrici - sapeva stupirsi e farsi avvincere, forse anche abbindolare.
Per amore di disgressione: l'incongruenza che preferisco riguarda quella sorta di mestolo che Armstrong avrebbe usato per raccogliere campioni del suolo. Pare che i tecnici della Nasa avessero fatto provare centinaia di volte il gesto all'astronauta, mentre il poveretto continuava a ripetere spazientito "sì, ho capito, ho capito". Il problema - a detta dei tecnici - era che la raccolta dei campioni doveva essere svolta con un gesto dolce ma al contempo deciso, senza esitazioni: sulla luna un movimento simile avrebbe infatti potuto sollevare una nube di polveri potenzialmente dannosissime per i delicati strumenti elettronici del modulo lunare. Ma durante l'allunaggio non si sollevarono polveri dannose?
A parte questi divertimenti accademici, più di qualsiasi presunta cospirazione o propaganda di allora sembra interessante l'eco che si sta dando oggi a quell'evento. Dal 1972 non andiamo più sulla luna: perché? Se abbiamo perso interesse per il nostro splendido satellite, se non ne vale la pena, se abbiamo dato fondo al suo potenziale scientifico, allora perché oggi ci autocelebriamo tanto in quello che in fondo potrebbe o dovrebbe apparire come un insuccesso? O dovremmo riconoscere che la luna è più affascinante da lontano, e tanto vale restarcene su quest'atomo opaco del Male ad ammirarne e cantarne la bellezza?
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