venerdì 29 maggio 2009

Globalizzazione

http://caderno.josesaramago.org/2009/05/29/desencanto/
http://quadernodisaramago.wordpress.com/2009/05/29/disincanto/


Senza lasciasi prendere alla gola dal pessimismo, è difficile non condividere un velo d'angoscia nel realizzare come il profitto stia consumando globalmente la nostra civiltà, ma nella globalizzazione ci sono anche tante cose meravigliose, a cui forse ci siamo abituati tanto in fretta da non vederle più. Tra i tanti problemi, uno dei più grandi è che la natura sembra pagare le conseguenze della spregiudicatezza umana. E' vero, ma le cose non stanno esattamente come le dipingono i media: mi vengono in mente le parole che mi disse un mio conoscente russo di nome Alexej Hablo alcuni anni fa. Mi disse: "the problem is not if you like nature or not; the problem is if nature likes you". Il DNA russo è forse più avvezzo a vedere la natura come un sistema - spesso molto duro - dove vivere, e non semplicemente un paradiso di prati soleggiati, fiumi argentati o boschi feriti dall'inquinamento. Non si tratta di "difendere la natura perché è bella", voleva dire Alexej: la natura è comunque più forte, e i mutamenti causati dall'uomo solo solo un prurito sulla sua schiena, destinato a scomparire in breve tempo anche dopo l'estinzione della nostra specie. Si tratta invece di difendere l'uomo da ciò che la natura diventerà in conseguenza delle sue azioni, e quindi da sé stesso: se ci creiamo intorno un ambiente invivibile, dovremo bruciare le banconote per scaldarci. Il nucleo del problema non è la globalizzazione in sè stessa (l'essenza della quale peraltro dovremmo definire), e forse sarebbe il caso di parlare di spregiudicatezza umana, trovando il coraggio di tentare di costruire una glocalizzazione che contribuisca a migliorare la nostra civiltà: le tante vittime umane delle multinazionali e dell'appiattimento culturale non sarebbero tali senza la spregiudicatezza che i governi tollerano ammantandola di liberalismo. Non si tratta dunque della globalizzazione in sé: basta leggere No Logo di Naomi Klein per trovare tonnellate di esempi di come siano le singole aziende e i singoli governi a palleggiarsi le responsabilità in una catena che tutti conosciamo, e che è inutile riportare qui.
Chi si oppone alla globalizzazione mi ricorda le vecchiette del West che volevano opporsi all'avvento del treno: a queste persone vorrei presentarne tante altre conosciute in Asia e in Africa, gente che salutava la comunicazione globale, il commercio internazione e la caduta delle frontiere come una benedizione e una possibilità di rinascita. Il treno della globalizzazione sta arrivando inarrestabile, e potrebbe essere la più grande conquista dell'umanità: come l'invenzione del martello o del coltello, si tratta di usarlo bene e di non farsi del male, ma questa scelta di responsabilità non spetta alla gente, bensì a chi detiene il potere decisionale; la soluzione non arriverà dall'idealismo dei "consumatori critici", vasi di coccio con poche speranze di realizzare alcunché, ma dai loro governanti, non da Manila ma da New York, non da Greenpeace ma dalla diplomazia della società occidentale boreale, non dalla FAO e dall'ONU, che costano più di quello che rendano e vengono pilotate per fini opportunistici, ma dalla prima figlia della globalizzazione stessa, la Rete. Perché ovviamente, per convincere quelli che contano, ogni tanto occorre gridare un po'.

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