lunedì 1 giugno 2009

Un'altra statua

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Il 22 aprile 2006 è stata inaugurata nei giardini di via Palestro a Milano la statua di un uomo seduto su una pila di giornali: ritrae un giornalista intento a battere su una macchina da scrivere che tiene appoggiata sulle ginocchia. E' la riproduzione di una famosa foto della stessa persona nella medesima posizione, con l'unica differenza che nella foto l'uomo porta anche il cappello (nella statua, il cappello è scivolato accanto alla pila di giornali).
Artisticamente, la statua dorata di Indro Montanelli luccica decisamente troppo: a lui stesso forse non sarebbe piaciuto vedere una tale celebrazione di sè. Anche sul volto si potrebbe discutere: sembra senza età, quasi un androide di Asimov, mentre i lettori probabilmente ricordano meglio il Montanelli di tempi relativamente recenti, quando - molto anziano, lucido e sempre pungente - attaccava il suo ex datore di lavoro (Berlusconi) accusandolo tra l'altro di usare il gergo e gli atteggiamenti dell'ultimo "uomo della Provvidenza" che aveva incontrato in Italia (Mussolini).
Montanelli non era certo di sinistra: proprio dove ora c'è la sua statua, il 2 giugno 1977 le Brigate Rosse gli scaricarono contro 8 proiettili, quindi persino per l'ala di Berlusconi fu un po' difficile accusarlo di essere un comunista complottista: si optò per la scelta di dare poca risonanza alle sue parole, giustificandole con la demenza senile. In realtà la demenza senile non aveva affatto toccato il controverso e iconoclasta Montanelli, che semplicemente lottava per il diritto a un'informazione libera, priva di condizionamenti politico-economici: "il giornalista deve tenere il potere a una distanza di sicurezza" - pensava, e lo disse anche a Cossiga nel rifiutare la carica di senatore a vita che il presidente della repubblica gli offriva.
Se un giornalista dovrebbe scrivere a prescindere dai poteri in gioco, senza guardare né a destra né a sinistra, ma solo al proprio unico, vero padrone (il lettore), della statua mi piace proprio che lo sguardo di Montanelli è fisso e concentrato sulla macchina da scrivere, la fedele Lettera 22.
Il giorno del suo novantesimo compleanno disse "Quello che sono lo devo a Fucecchio, quello che sono diventato lo devo a Milano": Azinhaga o Fucecchio, siamo davvero il prodotto delle nostre origini, ma che ci piaccia o meno anche ogni altra tappa successiva ha il suo peso, che a volte sottostimiamo soltanto perché ai nostri sensi, colmi di eventi, sembra forse meno interpretabile, caratterizzante, nodale o idilliaca rispetto all'infanzia.

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