lunedì 17 agosto 2009

Socrate e la Royal Dutch Shell

http://cuaderno.josesaramago.org/2009/08/17/acteal/

Solo pochi giorni fa scrivevo di ritenere una fortuna che Galileo abbia abiurato, perché un giuramento imposto non ha valore né dignità di fronte ad alcun tribunale umano o divino. In ogni caso una sua condanna a morte non sarebbe stata comparabile a quella di un Socrate, che 399 anni prima di Cristo rifiuta di fuggire dalla propria cella e per coerenza decide di accettare la cicuta. In entrambi i casi c'è un processo ingiusto, ma nel caso di Galileo l'abiura è estorta, e la convinzione dello scienziato resta inattaccabile. Nel caso di Socrate invece l'atteggiamento verso il processo è di compassata noncuranza, e la propria morte diventa un gesto di coerenza, di dissenso, di volontaria alienazione dagli schemi triviali e miserabili della politica ateniese, perché insegnare il bene e il male ai giovani è più importante e più giusto di vivere. Nietzsche nel Crepuscolo degli Idoli scrive che fu Socrate stesso a voler essere condannato a morte, che fu lui stesso che si diede la cicuta, quasi costringendo gli ateniesi a farlo morire. Io credo piuttosto che corse questo rischio con la serenità e la disinvoltura chi vede la propria morte in una chiave leggera, quasi priva di importanza, di fronte alla prospettiva ben più grave di vivere al centro di un'ingiustizia: succede spesso agli asceti, ai filosofi e ai soldati più eroici e non a caso Socrate incarnava da solo tutte e tre queste figure.
Sembrano eventi remoti, privi di relazione con il nostro tempo e la nostra vita, ma non lo sono affatto: mi viene in mente Ken Saro-Wiwa, lo scrittore nigeriano, il famoso attivista. Il 10 novembre 1995 il regime militare nigeriano (che non era considerato "terrorista" in quanto ancora alleato degli Usa) ha organizzato un processo farsa e fatto impiccare questo martire del nostro tempo: pur nell'indignazione internazionale, il processo si è fatto, la botola si è aperta, la corda si è tesa. Appena poco prima Saro-Wiwa aveva detto le sue ultime parole: Lord, take my soul, but the struggle continues. Difendere il proprio popolo (gli Ogoni) dall'inquinamento e dai soprusi delle multinazionali del petrolio è stata considerata una colpa tanto grande quanto i profitti che andava a intaccare, ma la sua morte ha provocato l'espulsione della Nigeria dal Commonwealth of Nations; nel 1999 il regime militare nigeriano sarebbe caduto, mentre il paese scivolava lentissimamente verso un regime democratico.
Che la Shell avesse ogni interesse a spingere il regime militare a uccidere Saro-Wiwa è ormai assodato, ma ancor più vergognoso è che tre mesi fa la Shell abbia patteggiato un risarcimento di 15 milioni e mezzo di dollari "non per colpevolezza ma per aiutare il processo di riconciliazione" (qui un articolo del 9 giugno 2009 sul Corriere). Pare che il figlio di Ken Saro-Wiwa si sia dichiarato soddisfatto di vedere la multinazionale patteggiare, paragonando di fatto il risarcimento a un'ammissione di responsabilità, affermando che ci troviamo di fronte a un precedente che in futuro anche le aziende più potenti non potranno ignorare. Credo piuttosto che la Shell abbia deciso, dopo una lunga riunione con avvocati e tecnici di borsa, che 15 milioni di dollari sono comunque una cifra inferiore alle possibili perdite potenziali dovute a un coinvolgimento diretto nel processo.
I processi sono spesso come la storiografia: sembrano dar ragione a chi vince con la forza, mentre condannano chi è in posizione di inferiorità economica, militare, numerica; sarebbe però una mutilazione autoinflitta la perdita di fiducia nel ruolo e nella responsabilità dei processi: possiamo incrinare la nostra fiducia nei giudici, possiamo sostituirli, possiamo deridere gli scranni dei processi staliniani, inquisitori, corporativi, censori, ma non possiamo perdere di vista e sostituire le idee stesse che un giudice dovrebbe rappresentare.

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