sabato 18 luglio 2009

Tra gli zigomi e le rughine degli occhi

http://caderno.josesaramago.org/2009/07/17/historias-da-emigracao/
http://quadernodisaramago.wordpress.com/2009/07/17/storie-di-emigrazione/

E' famosa una battuta di Orson Welles: "In Italy for 30 years under the Borgias they had warfare, terror, murder and bloodshed, but they produced Michelangelo, Leonardo da Vinci and the Renaissance. In Switzerland, they had brotherly love and 500 years of democracy and peace, and what did that produce? The cuckoo clock."

Ovviamente si tratta di uno scherzo: non è stata certo la violenza a produrre Michelangelo, Leonardo e il Rinascimento, e poi la Svizzera ha inventato anche la Croce Rossa, le lenti a contatto, il telegrafo elettrico, il giornale quotidiano, la matita, il motore a combustione interna e altre cose (tra cui - ahimé - anche l'orrore della vivisezione).

La battuta di Welles stilizza un sospetto che fa riflettere e che tempo fa fu pubblicato pari pari anche dal Financial Times: l'idea che l'Italia - o forse l'Europa intera - stia diventando una gigantesca Svizzera benestante e chiusa, culturalmente immobile, militarmente inconsistente, politicamente inesistente [lo scrivo ovviamente col massimo rispetto degli svizzeri: 15 chilometri più su e ci sarei nato anch'io; magari avrei persino imparato il pugliese, che è tra i dialetti più diffusi a Lugano]

Anche qui giù [intendo a sud di Lugano] viviamo in un paese sempre più terrorizzato e indignato dalla criminalità d'importazione, un paese che rischia di chiudersi a riccio acriticamente, in una beatamente inconsapevole cancrena etica e culturale. Eppure basta guardarsi allo specchio e cercare, tra gli zigomi e le rughine degli occhi, il riflesso dei nostri antenati longobardi, iberici, germanici, greci, arabi: mi guardo e scommetto che i miei bruciavano le guance ai neonati per non fargli crescere la barba, e mangiavano carne cruda dopo averla scaldata sotto la sella del cavallo. Abbiamo tutti nel codice genetico un po' di barbarie, un po' di civiltà, un po' di emigrazione, un po' di stanzialità, un po' di nomadismo.

Un volo pindarico in radio mi conduce alla stessa conclusione: tra gli altri programmi, Radio 24 ha oggi trasmesso l'intervista a uno dei curatori del libro "Dall'Etiopia a Roma - Lettere alla madre di una migrante in fuga". Non l'ho ancora letto e sembra interessante: si tratta di un libro basato sull'esperienza e le memorie di una ragazza africana che ormai da tempo - dopo un duro viaggio, molte peripezie e un periodo di vita complicato - vive e lavora come cameriera a Roma.
I curatori Michele Colloca e Mussie Zerai Yosief sono due amici della protagonista, ed è stata la stessa autrice delle lettere a stimolarli a sviluppare questo progetto: non soltanto un romanzo realistico e verosimile, ma un'esperienza reale a cui sono stati soltanto cambiati i nomi propri per motivi di sicurezza. Al di là degli aspetti più intensi della vicenda, il libro punta anche a sottolineare un'ovvietà a beneficio di chi ancora sembra ignorarla, ovvero che l'emigrante ha i nostri medesimi desideri e aspirazioni, le nostre stesse paure, debolezze, affetti e pulsioni: la barriera della diversità culturale è quel muro di carta che il tempo finirà fortunatamente per smitizzare e consumare.

Concludo con un'attualissima lettera di un altro immigrato che vale la pena di leggere tutta, fino in fondo, giù fino alla firma.

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