giovedì 6 agosto 2009

Cecità di Federigo Tozzi

http://cuaderno.josesaramago.org/2009/08/06/la-sombra-del-padre-1/

Solo tre giorni fa scrivevo che le opere degli scrittori-innovatori sono la mappa dei loro pensieri ricorrenti, dei loro impulsi tradotti in parola. Naturalmente queste opere, messaggi e la stessa lingua che adoperano sono anche il bagaglio della loro esperienza, fatta di persone, eventi, scosse, successi, delusioni, sogni e incubi. A proposito di incubi, di uno scrittore che apprezzo molto leggo una frase particolarmente calzante su Wikipedia: "la realtà gli si impone con la violenza massiccia dell'incubo dell’esperienza personale per poi essere ritrasportata, sempre sotto forma di incubo, nelle sue opere".

Si tratta di Federigo Tozzi, la cui intensità e bravura abbiamo riscoperto solo 40 anni dopo la morte. Per giunta, ci è voluto proprio un figlio - suo figlio Glauco - per riordinarne il materiale riportando alla luce quegli scritti che oggi i critici paragonano alle pagine di Kafka e Dostoevskij.
Tozzi mise su carta la tempesta di frustrazione che si portava dentro: cercava di controllare e possedere attivamente la realtà, ma inesorabilmente ne veniva disarcionato.
I suoi romanzi sono tutti autobiografici, nel senso più largo del termine: a coincidere, tra i suoi libri e la sua vita, non sono gli eventi, ma le condizioni, le debolezze, gli urti.

In Con gli occhi chiusi raggiunge una poetica e una capacità introspettiva fuori del comune: lascia fluire sulla carta tutta la sua rabbia, passione, delusione e cecità di fronte alla realtà. Il suo è quasi un suicidio dei sensi, il liberarsi di un peso, uno svenarsi febbrile e catartico. C'è di mezzo una donna (Ghisola nel libro, Isola nella realtà) di cui l'autore e il protagonista non vedono l'inconsistenza e le bassezze, trascinandosi dietro a lei con cieca e caparbia dedizione.
Pare che Tozzi abbia scritto ben otto finali diversi per questo romanzo: perché non otto versioni, ma otto finali? Semplice insoddisfazione, pudore, o la volontà di cambiare un passato che non riusciva a intepretare o gestire? Si tratta di otto specchi deformanti per guardare Isola e se' stesso, con curiosità o morbosa frustrazione? Oppure di otto lenti d'ingrandimento per interpretare e analizzare la propria percezione e l'origine di un malessere? Ne scelse uno solo, non so se per imposizione editoriale o per decisione personale.

In fondo, a volte bisogna prendere delle decisioni anche quando le opzioni sembrano tutte uguali, anche quando sembrano tutte insoddisfacenti.

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