martedì 16 giugno 2009

Sui territori occupati da Israele

http://caderno.josesaramago.org/2009/06/16/netanyahu/
http://quadernodisaramago.wordpress.com/2009/06/16/netanyahu/

La Cisgiordania è grande 5640 kmq, poco più del territorio della provincia dell'Aquila (5.035 kmq), poco meno di quello di Potenza (6.549 kmq).

Dal 1967 in poi (appena dopo la fine della guerra dei sei giorni) gli israeliani hanno iniziato a costruire colonie e insediamenti nei territori che secondo gli accordi internazionali (la Risoluzione 242 dell'Onu) avrebbero dovuto lasciare liberi.

Quattro anni fa il ministro della difesa israeliano ha deciso di raccogliere in un database tutti i dati sugli insediamenti nei territori occupati. I dati raccolti sono stati mantenuti segreti, ma il quotidiano israeliano Ha'aretz ne è entrato in possesso: è emerso che il 75% degli insediamenti è stato realizzato in modo irregolare, e che almeno 30 insediamenti sono stati edificati su terreni appartenenti a cittadini palestinesi. Anche il Rapporto Sasson (del 2005) ha portato alla luce 150 comunità israeliane illegali e 400 casi di occupazione di terreni di proprietà di palestinesi. E' apparso evidente che gli insediamenti sono stati realizzati con il consenso e i finanziamenti del governo: lo stesso Ariel Sharon avrebbe incoraggiato il processo dicendo Let everyone get a move on and take some hilltops! Whatever we take, will be ours, and whatever we don't take, will not be ours! (Diamoci tutti una mossa e prendiamoci qualche collina! Tutto quello che ci prendiamo sarà nostro, e quello che non ci prendiamo non sarà nostro!).

Secondo il quotidiano Ha'aretz, nel 1993 in questa regione c'erano 112.000 coloni israeliani; nel 2006 gli israeliani erano diventati 453.000. L'Aquila fa 305.000 abitanti, Potenza quasi 387.000.

I media internazionali ci dicono che, ammettendo la possibilità di creare uno stato palestinese, Netanyahu ha sputato un rospo che avrebbe potuto strozzarlo. E' evidente a tutti che questa dichiarazione era inevitabile di fronte alle pressioni di Obama, ma volente o nolente Netanyahu l'ha ammesso. Dopo questa dichiarazione i consensi nei suoi confronti sono saliti a un soprendente 44%, e nel suo partito il discorso è piaciuto al 90% dei votanti. Qualcuno ha scritto che gli israeliani sono ben contenti che il primo ministro faccia la cosa giusta, anche quando la fa per motivi sbagliati.

In altre parole anche tra gli israeliani ci sono persone che considerano necessario un processo di pace equo, ma la condizione di "stato palestinese smilitarizzato" richiesta da Netanyahu significa che il riconoscimento di uno stato palestinese non ci sarà mai, perché di fatto i palestinesi hanno già forze miliari assolutamente ridicole rispetto al potentissimo esercito israeliano (vedi una comparazione tra le forze qui, e una panoramica sull'esercito israeliano qui).

L'avvocato Talia Sasson (che ha steso il rapporto a cui accennavo sopra) non è una militante palestinese ma una consulente legale dello stesso Sharon (qui c'è un suo intervento del 2007): è un'israeliana che considera gli avamposti illegali come semi di guerra piantati nel futuro, e non è la sola. Un sondaggio dell'Institute for National Security Studies ha rivelato che il 64% della popolazione israeliana supporta l'idea di "due stati per due popoli", il 77% è a favore di una legge per una progressiva evacuazione compensata dai territori, e solo il 17% sarebbe favorevole a espandere gli insediamenti anche a costo di opporsi agli Usa.

La strategia di Israele nei confronti dei Palestinesi ricorda quella dei cinesi nei confronti dei tibetani: penetrazione capillare e silenziosa e controllo graduale di aree sempre maggiori di territorio. Nel frattempo, chiunque metta in discussione le scelte politiche di Israele viene tacciato di antisemitismo, compresi Noam Chomsky (ebreo americano di origine russa) e Norman G. Finkelstein (figlio di ebrei sopravvissuti al ghetto di Varsavia). La speranza di iniziare un vero processo di pace resta nelle mani di Barack Obama, che per molti sta diventando un personaggio sempre più scomodo.

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